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29 aprile 2015

Simili all'uomo celeste


Il tempo di Pasqua è il tempo che ci è donato per fare festosa e grata memoria della risurrezione di Cristo; ma la risurrezione di Cristo è causa e modello della nostra risurrezione. Quindi è bello e utile in questo tempo meditare un po' anche sulla nostra risurrezione e sulle conseguenze che questa verità ha sulla nostra vita.

Un testo di Paolo, dalla prima lettera ai Corinzi, ci aiuta a fare luce sul mistero della nostra risurrezione, più precisamente – come recita il Simbolo degli Apostoli – sulla risurrezione della nostra «carne». 
Ma qualcuno dirà: «Come risorgono i morti? Con quale corpo verranno?». Stolto! Ciò che tu semini non prende vita, se prima non muore. Quanto a ciò che semini, non semini il corpo che nascerà, ma un semplice chicco di grano o di altro genere. E Dio gli dà un corpo come ha stabilito, e a ciascun seme il proprio corpo. Non tutti i corpi sono uguali: altro è quello degli uomini e altro quello degli animali; altro quello degli uccelli e altro quello dei pesci. Vi sono corpi celesti e corpi terrestri, ma altro è lo splendore dei corpi celesti, altro quello dei corpi terrestri. Altro è lo splendore del sole, altro lo splendore della luna e altro lo splendore delle stelle. Ogni stella infatti differisce da un'altra nello splendore. Così anche la risurrezione dei morti: è seminato nella corruzione, risorge nell'incorruttibilità; è seminato nella miseria, risorge nella gloria; è seminato nella debolezza, risorge nella potenza; è seminato corpo animale, risorge corpo spirituale. Se c'è un corpo animale, vi è anche un corpo spirituale. Sta scritto infatti che il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l'ultimo Adamo divenne spirito datore di vita. Non vi fu prima il corpo spirituale, ma quello animale, e poi lo spirituale. Il primo uomo, tratto dalla terra, è fatto di terra; il secondo uomo viene dal cielo. Come è l'uomo terreno, così sono quelli di terra; e come è l'uomo celeste, così anche i celesti. E come eravamo simili all'uomo terreno, così saremo simili all'uomo celeste.
La nostra vita terrena è segnata da una dimensione di fragilità, di debolezza, di corruzione, spesso di sofferenza e, infine, di morte. Tutto questo ci deriva dal peccato: peccatori cacciati dal Paradiso terrestre in Adamo, ci affatichiamo tra le spine e i rovi di questa difficile esistenza, finché, giunto il termine della nostra vita, deponiamo il nostro corpo, ormai privo dello spirito vitale, nella terra, come chicco di frumento destinato a marcire. Ma il dono, assolutamente gratuito, della risurrezione cambia tutto: ci è rivelato, infatti, che il nostro corpo – con tutto ciò che esso implica sul piano delle relazioni sociali, affettive, con le cose – è destinato a riprendere vita, una vita che, se noi non ci saremo opposti con i nostri peccati, sarà una vita gloriosa, incorruttibile, splendida, beata.

 È questa la base della nostra speranza, della speranza cristiana: tutta la persona umana, anima e corpo, è chiamata a gioire per l'eternità in Dio. Ma questa verità della risurrezione, proprio nel momento in cui ci apre un orizzonte ultraterrreno nuovo, comporta anche una relativizzazione della dimensione terrena della nostra esistenza: ci dice infatti che non è questa la condizione definitiva e vera dell'uomo, che la vita autentica dell'uomo non si compie su questa terra e in questa vita ma in un'altra dimensione e in un altro momento – nei cieli nuovi e nella terra nuova alla fine dei tempi. Tutto questo comporta un salutare distacco dalle cose terrene, per elevare gli occhi e il cuore al Cielo – nostra vera Patria – in ordine al quale, ormai, deve essere diretta ogni azione che noi compiamo sulla terra. Se vogliamo esprimere ciò con un'immagine geometrica, penso che si possa fare l'esempio della linea diagonale: una linea che poco a poco dal basso sale verso l'alto, non trascurando le cose terrene ma orientandole verso il cielo.

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