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6 maggio 2015

Il tralcio che porta frutto

La millenaria sapienza della Chiesa ci presenta per la quinta domenica di Pasqua uno dei più celebri passi evangelici, la vite e i tralci, in cui si vuole evidenziare la necessaria unione con Cristo.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli». (Gv 15, 1-8)

Dopo aver presentato nelle prime tre domeniche dopo Pasqua tre differenti apparizioni del Signore Risorto ai discepoli, i quali sono ancora increduli di vederlo vivo dopo la crocifissione, la liturgia ci presentava nella quarta domenica la parabola del Buon Pastore. Qui Gesù si presentava come Guida, dopo aver risvegliato nuovamente la fede di coloro che lo seguivano. “Io sono il Buon Pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me”. La fede infatti, come dice sant’Agostino (Commento al Vangelo di Giovanni, Omelia 106), porta alla conoscenza, la quale non nasce quando i discepoli ascoltano le parole di Cristo, ma quando le accolgono nel loro cuore e vi aderiscono. La Parabola della Vite e dei tralci, si mette sulla stessa scia, in cui come dicevamo, si evidenzia la necessaria intimità e presenza di Cristo nella vita del cristiano: “Rimanete nel mio amore”.

La vite è segno di speranza e di gioia. Di questa gioia fanno parte coloro che portano frutto. Coloro che non portano frutto, i tralci sterili, vengono gettati via per essere bruciati. Cristo è al contempo vite, dunque simile al tralcio, e linfa vitale che fa crescere – infatti è Dio che fa crescere (1 Cor 3,6). Con questo parallelismo Agostino spiega la duplice natura di Cristo: umana e divina.
Rivolgendosi ai suoi discepoli, li presenta come già puri, stanno portando frutto, infatti dice loro: “Voi siete già puri a causa della parola che vi ho annunciato”. I discepoli, sono già puri perché hanno lasciato tutto per seguire Lui; il loro cuore ha aderito, dopo aver ascoltato Gesù durante la sua predicazione. Nell’ultima cena infatti aveva detto: “Siete mondi, ma non tutti”, riferito a Giuda, il quale non aveva accolto il messaggio di salvezza, anzi...! Certo è che questa fede ancora sarà messa alla prova, come quel tralcio che portando frutto viene potato perché porti più frutto.

“Rimanete in me e io in voi”. Se non restiamo in Lui, se non lo conosciamo, se non siamo intimi con Lui, come possiamo portare frutto? Gesù ribadisce che senza di Lui non possiamo fare nulla... Gesù non ha peli sulla lingua: chi non produce frutto, viene gettato via.

Ma Gesù nel continuare il suo discorso, carico di amore, ribadisce l’importanza di rimanere in Lui. Se rimaniamo in Cristo e abbiamo gli stessi sentimenti di Cristo (Fil. 2,5), allora saremo capaci, amando, di chiedere ciò che è conforme alla Volontà di Dio pregando secondo il Suo cuore e non secondo il nostro. Così, vivendo per Dio, glorifichiamo Lui, con i frutti di bene della nostra vita. I frutti che portiamo sono di Dio; è Lui che in noi compie le buone opere. A noi resta di lasciarlo agire.

L’amore che dimora nel nostro cuore, il perdono che sappiamo dare al nostro prossimo, la preghiera che sgorga dalle nostre labbra, la nostra vita che ogni giorno soffre nel servire gli altri, seppur tra mille dubbi e fragilità, sono segno che Cristo agisce nella nostra vita e che noi rimaniamo nel suo Amore. 

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