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31 ottobre 2015

La Maschera dietro la maschera



 1 L’uomo, il gatto e il fine

Beh, credo mio caro lettore che converrà con me nel dire che siamo entrambi animali razionali, cioè esseri viventi capaci non solo di movimento, ma pure di pensiero. Posta questa nostra - e spero reciproca – basilare autostima, lasci che le ponga una domanda: ora, forse le parrà assurdo, ma seriamente, cos’è che distingue il suo agire da quello del suo gatto (se ne ha uno)?
Giacché di fatto non può materialmente rispondermi, mio caro lettore, se non meditare nel suo cuore, conceda che queste pagine inanimate si rispondano da sé.

Ebbene, vediamo … se il suo gatto ha fame cerca cibo; se il suo gatto ha sete cerca da bere; se il suo gatto è in amore cerca una gatta. In effetti molti seguono l’elementare - seppure efficace - filosofia del suo gatto. Ora, se c’è il bisogno, per l’animale è inesorabile la ricerca di soddisfazione. Perché?

Perché l’animale non può sottrarsi ai propri bisogni, l’animale non può determinare il perché del proprio agire, ma i perché sono gli stimoli che inevitabilmente lo muovono ad agire.
È forse così anche per l’uomo? Alcuni, in effetti, si sentono molto felini e confermano; magari per loro può essere anche vero, tuttavia vi è l’innegabile fatto che l’uomo sia in un qual modo al di sopra dei propri bisogni.  Come dimostrarlo? Ebbene, vi sono uomini, quale il sottoscritto, che, mio caro lettore, hanno fame il Venerdì Santo, eppure digiunano: vi è l’impulso del bisogno, ma questo viene sospeso in virtù di un fine più nobile. Ad esempio l’uomo potrebbe digiunare per vivere proporzionatamente su di sé la fame e la sete che visse Cristo quel giorno sulla Croce. Oppure l’uomo può digiunare perché nell’astensione dalle proprie necessità e in ultima analisi nell’astensione da sé, ritrova se stesso, ma un se stesso più sacro. L’uomo determina i propri fini… una curiosa libertà di cui forse, mio caro lettore, molti ferventi discepoli del suo gatto ignorano l’esistenza.
 

Ma lei certamente non è un seguace di quel poltrone peloso che è intrinsecamente ogni felino. Al contrario lei è una persona, e fiera di esserlo, una persona razionale e non di quelle che si dicono tali per misericordiosa definizione aristotelica; lei lo è nei fatti: se agisce, ha un fine. Ora, secondo lei, qual è il fine di Halloween?

2 La Maschera dietro maschera o del secondo fine

Lo so, lo so, ahimè il nostro e felice ‘secondo lei’ è una finzione letteraria, non potendo ricevere concretamente una risposta che influenzi le seguenti righe… Ma lasci che mi metta nei suoi panni, mio caro lettore, mentre lei si mette nei panni di un cadavere o di un mezzo mostro. Qual è, insomma, il fine di una persona che ad Halloween si traveste?
La risposta è una sola: divertirsi ed in particolare farlo giocano sui fascinosi panni del lugubre e dell’inquietante. In effetti tutto ciò che ci spaventa suscita un certo fascino su di noi ed in modo particolare la morte. Come mai? Perché è misterioso, ci sfugge, supera la nostra misura e quindi affascina, anche se può risultare tremendo.
 
Molto bene, lei si traveste per divertirsi e magari queste sono le sue esplicite intenzioni. Ci sono, però, intenzioni implicite nelle nostre azioni che delle volte non sono scelte esplicitamente, ma che tuttavia sono scelte. Che cosa?! Facciamo un esempio: quando un uomo compra un libro di una casa editrice, può essere che lo compri perché gli interessa, perché l’edizione è pregiata e così via. Una volta che, però, lo compra, anche se non era il suo fine, questi appoggia economicamente una linea editoriale. Magari non ne ha esplicita intenzione, ma di fatto scegliendo a prende anche b.
Pertanto la medesima cosa vale con Halloween: lei si traveste per divertirsi, sicché il suo fine è ludico, ma vi è un fine celato nel concetto stesso di travestirsi che è implicitamente preso; quando la persona si veste, il vestito è funzionale alla persona e in questa si esaurisce: mi vesto (azione del soggetto) per coprirmi (termine nel soggetto). Quando, invece, la persona si traveste, la sua è una trans - cioè oltre – vestizione, ossia è una vestizione significativa: travestirsi è assumere un abito rappresentativo di altro. Come dire, vi è una maschera dietro la maschera. Ora ciò che è rappresentato nel travestimento è il fine del travestimento, il quale può essere secondario per la persona, ma che, ahimè, non significa superfluo o poco importante, ma semplicemente non principale.
Non si era mai reso conto di questa maschera nascosta, di questo fine che lei è indotto ad accogliere senza volerlo, vero? Noi, agendo, facciamo molte più cose di quello che riteniamo di fare direttamente e questo può essere un bene oppure un male. Vi è in qual modo, mio caro lettore, una trama secondaria delle nostre azioni, un secondo copione che determina un secondo finale. Può accadere che all’epilogo dell’ultimo atto nell’apparenza di un inesorabile rovina si celi il tanto atteso lieto fine. Ma può anche accadere che i sorrisi festanti siano invece la maschera di una torva tragedia. Curioso questo implicito delle nostre scelte, perché chi le conosce può controllarle e vagliarle: fare rinunce apparentemente infelici per esiti felici, magari evitandone di felici dall’esito infelice. Ma soprattutto, e qui mi permetto di insinuarle un sano dubbio: chi le discerne, pure le controlla. Cosa noi controlliamo delle nostre scelte, a cosa stiamo davvero aderendo, facendo una scelta? 
 
L’esito di queste implicite adesioni in ogni caso o è buono o è cattivo. Un caso buono è quello di Abramo: Abramo credeva in Cristo? Esplicitamente no, forse neppure sapeva chi sarebbe stato quel Gesù Nazareno. Tuttavia,  aderendo esplicitamente e per mezzo della fede alla promessa dell’Altissimo di una prolifica discendenza, ha ottenuto di essere ascendente di Dio Stesso in Cristo Gesù. Facciamo ora un esempio, invece, dove questo discorso volgerebbe al male: un uomo del 1938 che per avere agevolazioni sociali si tesserasse al partito Nazional Socialista Tedesco (il partito Nazista) non ha come primo fine quello di sterminare gli Ebrei e magari neppure vorrebbe farlo, ma solo desidererebbe di vivere agiatamente. Conciò in un qual modo dà il suo implicito consenso a una politica disumana.

3 L’ambiguità di Halloween

Vorrei applicare questa considerazione ad Halloween. Certo, come dicevamo, Halloween è un divertimento e questa è la scelta primaria, l’adesione esplicita (desidero divertirmi), ma siamo sicuri che ad essa non si accompagni alcuna scelta implicita per noi nociva? Qual è il copione nascosto di quella lugubre quanto affascinante notte… Eh, ma per una notte cosa mai potrebbe accadere?! O, per essere logicamente rigorosi, mio caro lettore, se si può morire in pochi istanti, molto più può accadere in una notte.
Ebbene la scelta si compone di tre fattori: un’adesione esplicita, una o più implicite ed una via o modo con cui le precedenti si realizzano. L’adesione esplicita è il divertimento, la via è la festa – Halloween, infatti, non è nulla più che una festa, per cui festeggio per divertirmi - l’adesione implicita, invece, è quella significata dal travestimento nel modo della festa. Se mi travesto da strega, da mostro, da cadavere o da demonio, il mio vestire implica un’adesione ad un personaggio e a ciò che esso significa per la natura stessa del travestimento. Questa adesione noi la chiamiamo comunemente immedesimazione, per cui immedesimarsi nel diavolo e più in generale nei suoi, per sì dire, “lugubri corollari”, significa farsi medesimi del diavolo o di quei morti di cui in alcun modo Dio è il dio (Cfr. Mt 22, 35); immedesimarsi significa farsi la stessa cosa di ciò in cui ci si immedesima.
Le figure cui ci si lega sono tutte occulte, possono non essere direttamente il nemico, ma sono in ogni caso figure a lui legate. Gli stessi defunti - cui si appellano alcuni dicendosi riverenti ai propri avi - possono essere rappresentati in due modi: o come figure paradisiache, anime di Dio, o come figure infernali sotto il giogo satanico, essendo necessariamente o le une o le altre (le purganti sono legate in prospettiva al Paradiso cui necessariamente sono destinate).
 
Non credo che vi siano molte figure serafiche nella notte di Halloween, al contrario sono tutte simili all’iconografia classica dei dannati.
Immedesimarsi in esse, significa aderirvi. Questo in assoluto non è un male: tutti i travestimenti sono una certa adesione, perché devono essere aderenti ad un personaggio, ma questa aderenza può non essere per  forza malvagia, né avere frutti negativi. Pertanto subentra l’importanza del concetto di via  o modo della scelta; se uno si traveste da strega nel Macbeth, il modo è quello della rappresentazione teatrale, il soggetto è negativo, ma l’immedesimazione - se non diviene psicologicamente morbosa – non è negativa, è realistica il che non ha alcunché di male: il realismo gioca sul campo della verità. Così se in una rappresentazione sacra un uomo figurasse il demonio che tenta Giobbe l’adesione – che in tal caso sarebbe esplicita - avrebbe il modo del vero, certo teatrale ossia metaforico, ma sempre vero e quindi in un certo senso sarebbe un bene (vero e bene coincidono).
 

Ma per Halloween è diverso, perché l’aderenza al personaggio avviene nella ricerca di un divertimento, tale ricerca ha il modo della festa. È la via  la chiave di volta di tutto: la festa è di fatto una celebrazione, solo che la celebrazione dice della funzione, magari liturgica, che descrive l’evento, mentre la festa dice della sua qualità provvida, gioiosamente accolta (i giorni fausti nell’antichità erano quelli propizi agli dei). La festa gioisce di qualcosa, quindi in un qual modo ne accoglie le istanze. Chi festeggia Halloween può non avere l’intenzione esplicita di festeggiare Satana, ma, di fatto, in un giorno di culto cristiano si sottrae al clima della festività liturgica - che non a caso è Tutti i santi - per festeggiare qualcosa che non si connette a Dio.
 
 
Nuovamente dico, la scelta implicita può avvenire in maniera inconscia e magari non voluta, cosa che è assolutamente migliore e in un qual modo costituisce di per sé una protezione dal nemico, ma rimane sempre adesione con delle conseguenze talvolta nefaste: al nemico non interessa la nostra libertà in quanto tale, ma gl’interessa di sottometterla, ma giacché non può ordinariamente fare nulla più che tentare, aspetta che sia l’uomo in un qual modo ad aprirgli la porta, foss’anche uno spiraglio da forzare, tuttavia questo cerca angosciosamente.
Ma lei, mio caro lettore, è una persona razionale… vaglierà le proprie scelte implicite a differenza di quei filosofi che hanno come scolarca il suo gatto.

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